N. Hikmet – Berlino, 1961

Nelle mie braccia tutta nuda
la città la sera e tu
il tuo chiarore l’odore dei tuoi capelli
si riflettono sul mio viso.

Di chi è questo cuore che batte
più forte delle voci e dell’ansito?
è tuo è della città è della notte
o forse è il mio cuore che batte forte?

Dove finisce la notte
dove comincia la città?
dove finisce la città dove cominci tu?
dove comincio e finisco io stesso?

N. HIKMET – POESIE D’AMORE, IN ESILIO, [Traduzione di Joyce Lussu]


In my arms all naked
the city the night and you
your glow smell of your hair
reflected on my face.

Whose is this heart that beats
stronger than the voices and anxiety?
Is it yours of the city of the night
or maybe is it my heart beating so hard?

Where does the night end
where the city start?
where does the city end where you start?
Where do I start and finish it myself?

[This is just a translation attempt]

N. Hikmet – 1948

I giorni son sempre più brevi
le piogge cominceranno.
La mia porta, spalancata, ti ha atteso.
Perché hai tardato tanto?

Sul mio tavolo, dei peperoni verdi, del sale, del pane.
Il vino che avevo conservato nella brocca
l’ho bevuto a metà, da solo, aspettando.
Perché hai tardato tanto?

Ma ecco sui rami, maturi, profondi
dei frutti carichi di miele.
Stavano per cadere senz’essere colti
se tu avessi tardato ancora un poco.

N. HIKMET – POESIE D’AMORE, LETTERE DAL CARCERE A MUNEVVE, Prigione di Bursa (Anatolia) [Traduzione di Joyce Lussu]


The days are gradually getting shorter,
the rains are about to start.
My door waited wide open for you.
      Why were you so late?

Bread, salt, a green pepper on my table.
Wating for you, I drank on my own
half the wine I kept for you in my jug.
     Why were you so late?

But look, the honeyed fruit,
ripe on the branch, remains alive.
If you had been any later
it would have dropped unplucked to the ground.

[Translated by Richard McKane]

S. Esenin – 1918

Oggi il mio amore non è più lo stesso.
Ah, lo so, che tu soffri, soffri
Perché, la ramazza della luna
Non ha rovesciato pozzanghere di versi.

Sei triste e ti rallegri della stella,
Che ti cade sulle sopracciglia,
Tu hai cantato il cuore all’izba,
Ma non hai costruito una casa nel cuore.

E quello, che tu aspettavi nella notte
Se ne è andato, come prima, dal tetto.
O amico, per chi hai indorato
Le tue chiavi con parole di canto?

Non ti è dato cantare il sole,
Né vedere dalla finestra il paradiso.
Come un mulino che, agitando le ali,
Dalla terra non riesce a staccarsi.

SERGEJ ESENIN – POESIE E POEMETTI [a cura di E. Bazzarelli]


Now my love is not the same.
Ah, I know, you grieve, you
Grieve that pools of words
Have not spilled from the moon’s broom.

Mourning and rejoicing at the star
Which settles on your brows
You sang out your heart to the izba
But failed to build a home in your heart.

And what you hoped for every night
Has passed your roof by once again.
Dear friend, for whom then did you gild
Your springs with singing speech?

You will not sing about the sun
Nor glimpse, from your window, paradise
Just as the windmill, flapping its wing
Cannot fly up from the earth.

[Translated by Tim Jones ]


Grido a te, pioggia

Grido a te, pioggia
tu, grigio che non vieni mai per restare
e ricordi alle mie lacrime il loro breve tempo
sì, il dolore è vinto
il dolore è presto arreso
ma l’amore che ha diviso il proprio pane
nasce nel pane
e nello spazio già antico
– accolto tra due mani – esso rimane

tu, pioggia
tu, nero che tempesti la pietra per impressionare
e ricordi alle mie paure le loro cicatrici più fonde
sì, il vuoto è un ventre scalfito
il vuoto è sempre acceso
ma l’amore setacciato dal diniego
scende anche tra le prigioni di sé
e tra le fondamenta più fragili
– più a fondo dell’ultima pietra – l’amore si fa giardiniere

così ora posso riposare
vicina anche alla sua calda ombra
sotto i grigi delle tue nuvole
dove a volte si vedono i contorni più chiari
lì depongo il mio petto
a contatto con il suolo
dove il battito della terra
per me
lentamente risponde.

¬ Anna A Sulgreto ¬


I shout to you, rain
you, gray who never comes to stay
and you remind my tears their short time
yes, pain is overcome
pain is soon surrendered
but love whom shared its own bread
borns in bread
and in the space already ancient
– welcomed in two hands – it stays.

you, rain
you, black who storms the rock to impress
and you remind my fears their deepest scars
yes, emptiness is a scratched belly
emptiness is always on
but love sifted through denial
descends between our own prisons
and among the most fragile foundations
– deeper than the last stone – love becomes a gardener

so I can rest now
close to its warm shadow
under the grays of your clouds
where sometimes I can see the clearest outlines
there I lay my chest
in contact with the ground
where the beat of the earth
for me
slowly it answers.

¬ Anna A Sulgreto ¬


Thanks Sam for helping me giving birth to a few of these lines !

S. Esenin – 1914

Paese tu mio abbandonato,
Paese tu mio, deserto,
Fienagione incompiuta,
Bosco e monastero.

Le izbe ingobbite,
E sono cinque in tutto.
I loro tetti schiumeggiano
Nella fascina del tramonto.

Sotto la paglia-cornice
I lisci legni delle capriate,
Il vento la muffa azzurrina
Ha bagnato di sole.

Senza sbagliare bussano alla finestra
I corvi con l’ala,
Come una bufera, il ciliegio selvatico
Agita la sua manica.

Non sono forse una favola del canneto
La tua vita e la tua storia,
Che verso sera al viandante
Ha sussurrato la stipa?

SERGEJ ESENIN – POESIE E POEMETTI [a cura di E. Bazzarelli]


Land of mine in dire neglect,
Country run to waste,
Fields of hay unmown as yet,
Monastery, estate.

Every cottage is askew,
Five there are in all.
In the setting sun their roofs
Foam as shadows fall.

Under shirt-thatch coverings
Roof-ribs соте to view,
Wind-blown specks of sunlight tinge
Mould of dove-grey hue.

Hitting panes unerringly
Crows past windows weave,
Like а snowstorm, the bird cherry
Waves а blossom-sleeve.

Wasn’t your life а fairytale,
А legend of the past
То а late wayfarer told
Ву the feather-grass?

[Translated by Peter Tempest]

I love “Like а snowstorm, the bird cherry /Waves а blossom-sleeve.”

N. Hikmet – 1948

I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
che tu venga all’ospedale o in prigione
nei tuoi occhi porti sempre il sole.

I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
questa fine di maggio, dalle parti d’Antalya,
sono così, le spighe, di primo mattino;

i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
quante volte hanno pianto davanti a me
son rimasti tutti nudi, i tuoi occhi,
nudi e immensi come gli occhi di un bimbo
ma non un giorno han perso il loro sole;

i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
che s’illanguidiscano un poco, i tuoi occhi
gioiosi, immensamente intelligenti, perfetti:
allora saprò far echeggiare il mondo
del mio amore.

I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
così sono d’autunno i castagneti di Bursa
le foglie dopo la pioggia
e in ogni stagione e ad ogni ora, Istanbul.

I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
verrà giorno, mia rosa, verrà giorno
che gli uomini si guarderanno l’un l’altro fraternamente
con i tuoi occhi, amor mio,
si guarderanno con i tuoi occhi.

N. HIKMET – POESIE D’AMORE, LETTERE DAL CARCERE A MUNEVVE, Prigione di Bursa (Anatolia) [Traduzione di Joyce Lussu]


Your eyes, your eyes, your eyes
whether you come to the hospital or to prison
your eyes, your eyes, your eyes always carry the sun,
so are the ears of wheat at dawn
somewhere in Antalya, late in May.

Your eyes your eyes your eyes
How many times have they cried in front of me –
they were bare, your eyes,
bare and vast like those of a child
but not for a day have they lost their sun.

Your eyes your eyes your eyes
should they get just a little languid, your
joyful, immensely intelligent, perfect eyes:
I’ll make the world
resound with my love.

Your eyes your eyes your eyes
so are in Autumn the chestnut groves of Bursa,
the leaves after the rain
and in every season and at every hour, Istanbul

Your eyes your eyes your eyes
the day will come, my love, the day will come
that men will look at each other fraternally
with your eyes, my love
they will look with your eyes.

Parlami della tua Africa

Parlami della tua Africa
di quello zampillio bianco
di sorrisi titanici
che sfuggono alle zolle più aride e nere.

Raccontami con il tuo sguardo
come arano
con il ritmo colorato dei loro corpi
il grigio dell’abbandono.

Qui, la mia Africa
è fatta di distanze
è la solitudine di profili assenti
su altipiani in processione.

Sono dorsi verdi
di mani stese da braccia rocciose
come doni avvinghiati alla terra
a trattenere percorsi semplici di umiltà e misura.

Qui un uomo dal prato
reso più piccolo così vicino al cielo –
ha alzato lo sguardo.

Per un attimo
si è fatto parte
di tutto il paesaggio

e senza saperlo, io credo,
anche lui era vicino ad un uomo e un sogno
sull’orizzonte del tuo sguardo.

¬ Anna A Sulgreto ¬


Tell me your Africa
the white gush
of titanic smiles
escaping the most dry and black clods.

Tell me with your watching
how they plow
the gray of abandonment
with the colored rithm of their bodies.

Here, my Africa
is shaped by distances
is the loneliness of absent profiles
on highlands in procession.

It is green backs
of hands stretched out by rocky arms
as gifts clinging to the earth
to withhold simple paths of humility and measure.

Here a man from the lawn
– made smaller so close to the sky –
has looked up.

For a moment
he has joined
all the landscape

and without knowing it, I think,
he was close too to a man and a dream
on the horizon of your watching.

¬ Anna A Sulgreto ¬


To a precious friend of mine volunteering in Tanzania

R. M. Rilke – Decima Elegia

Ch’io un giorno, uscito da intuizioni arrovellate
possa mandar su, agli angeli concordi, il mio canto di giubilo e di gloria.
Che i martelli del cuore battuti per squillare
non fallino su corde lente, dubitanti,
o che si spezzino. Che il mio volto bagnato di lacrime
brilli, e il pianto che non si vede
fiorisca. Oh, come mi sarete care, allora, notti dolorose.
Ch’io non v’abbia accolto più genuflesso,
sorelle inconsolabili,
che nei vostri capelli sciolti non mi sia abbandonato
più sciolto. Noi, che sprechiamo i dolori.
Come li affrettiamo mentre essi tristi, durano,
a vedere se finiscono, forse. E sono invece
la fronda del nostro inverno, il nostro sempreverde cupo
uno dei tempi dell’anno segreto, ma non solo
tempo, – son luogo, sede, campo, suolo, dimora.

Certo, ahimè, come sono estranee le vie della città –
tormento,
dove nel silenzio falso fatto di frastuono
forte, fa pompa di sé, quella colata dallo stampo del vuoto,
quel chiasso dorato che è il monumento esplodente.
[…]

Ma se i morti infinitamente dovessero mai destare un
simbolo in noi,
vedi che forse indicherebbero i penduli amenti
dei nocciòli spogli, oppure
la pioggia che cade su terra scura a primavera.

E noi che pensiamo la felicità
come un’ascesa, ne avremmo l’emozione
quasi sconcertante
di quando cosa ch’è felice, cade.

R. M. RILKE – ELEGIE DUINESI [Traduzione di Enrico e Igea De Portu]


Letta magnificamente da Domenico Pelini:

R. M. Rilke – Ottava Elegia

[…]
Quello che c’è fuori, lo sappiamo soltanto
dal viso animale; perché noi, un tenero bambino
già lo si volge, lo si costringe a riguardare indietro e
vedere
figurazioni soltanto e non l’aperto ch’è sì profondo
nel volto delle bestie. Libero da morte.
Questa la vediamo noi soli; l’animale libero
ha sempre il suo tramonto dietro a sé.
E dinnanzi ha Iddio; e quando va, va
in eterno come vanno le fonti.
Noi non abbiamo mai dinanzi a noi, neanche per un giorno,
lo spazio puro dove sbocciano
i fiori a non finire. Sempre c’è mondo
e mai quel nessundove senza negazioni
puro, non sorvegliato, che si respira,
si sa infinito e non si brama. Uno, da bimbo
vi si perde in silenzio e ne è
scosso. O un altro muore e lo diventa.
Perché quando è vicina la morte non si vede
e guardiam fissi fuori, forse con grande sguardo degli animali.
Gli amanti, se non ci fosse l’altro, che
preclude la vista, a quello spazio puro son vicini e stupiscono …
come per svista è stato aperto loro
dietro l’altro … ma oltre l’altro
nessuno può andare, ed ecco a tutt’e due tornare mondo.
Sempre rivolti al creato, in essi vediamo
soltanto il rispecchio del Libero
da noi stessi oscurato. O che una bestia
muta, alzi gli occhi e guardi tranquilla attraverso di noi.
Ecco quel che si chiama Destino: essere di rimpetto,
e null’altro, e sempre di rimpetto.
[…]

R. M. RILKE – ELEGIE DUINESI [Traduzione di Enrico e Igea De Portu]


Letta magnificamente da Domenico Pelini:

Verde terra

Itaca,
eri promessa tesa sotto la cresta bianca
partenza prima di arrivo
un istinto ormeggiato
per la domanda di un giovane coraggio

verde terra
dissetata da un altro cielo
ora sei corollario ampio al confine
un richiamo sconfinato
per lo sguardo dell’Ulisse troppo stanco

porti in grembo il vento calmo
senza più tempesta
e quieto e triste
rimane sopra di te
il costato grigio
teso ad un respiro del vero
sospeso
al tuo ultimo inarrivabile orizzonte.

¬ Anna A Sulgreto ¬


Itaca
you were a promise tense under the white crest
departure before arrival
a moored instinct
for the question of a young courage.

green land thirst
watered by another sky
now you are a broad corollary at the border
a boundless reminder
for the gaze of an Ulysses too tired

you carry on your lap a calm wind
with no more storm
and quiet and sad
stays above you
the gray rib
strained for a breath of truth
hanging
at your last unreachable horizon .

¬ Anna A Sulgreto ¬


Version improved with the suggestion of a smart friend of mine!