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Etty – 19 Febbraio 1942

C’era un gran sconforto stamattina a lezione. Ma una luce c’era: una breve, inaspettata conversazione con Jan Bool mentre attraversavamo il freddo e stretto Langebrugsteeg, e poi aspettando il tram. Jan chiedeva con amarezza: cosa spinge l’uomo a distruggere gli altri? E io: gli uomini, dici – ma ricordati che sei un uomo anche tu. E inaspettatamente, quel testardo, brusco Jan era pronto a darmi ragione. Il marciume che c’è negli altri c’è anche in noi, continuavo a predicare; e non vedo nessun’altra soluzione, veramente non ne vedo nessun’altra, che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappar via il nostro marciume. Non credo più che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza aver prima fatto la nostra parte dentro di noi. E’ l’unica lezione di questa guerra: dobbiamo cercare in noi stessi, non altrove.

Etty Hillesum – Diario 1941-1943 (Traduzione di C. Passanti)

Etty – 7 Luglio 1942

Giovedi mattina, le nove e mezzo. E parole come Dio e Morte e Dolore e Eternità si devono dimenticare di nuovo. Si deve diventare un’altra volta così semplici e senza parole come il grano che cresce, o la pioggia che cade. Si deve semplicemente essere.

Venerdi mattina. […] Quel che conta in definitiva è come si porta, sopporta, e risolve il dolore, e se si riesce a mantenere intatto un pezzetto della propria anima.

Etty Hillesum – Diario 1941-1943 (Traduzione di C. Passanti)

Etty – 3 Luglio 1942

Non sono più scoraggiata, mi sento più forte. Si diventa più forti se si impara a conoscere e ad accettare le proprie forze e le proprie insufficienze. E’ tutto così semplice e sempre più evidente per me, vorrei vivere abbastanza a lungo per farlo capire anche agli altri. E ora, per davvero, buona notte.

Sabato mattina, le nove
[…]
Allora ho pensato – o piuttosto, in qualche modo ‘ho sentito’ – che gli uomini si sono stancati e si sono rotti i piedi su questa terra di Dio per secoli e secoli, nel freddo e nel caldo, che anche questo fa parte della vita. Un barlume d’eternità filtra sempre più nelle mie più piccole azioni e percezioni quotidiane. Io non sono sola nella mia stanchezza, malattia, tristezza o paura, ma sono insieme con milioni di persone, di tanti secoli: anche questo fa parte della vita che è pur bella e ricca di significato nella sua assurdità, se vi si fa posto per tutto e se la si sente come un’unità indivisibile. Così, in un modo o nell’altro, la vita diventa un insieme compiuto; ma si fa veramente assurda non appena se ne accetta o rifiuta una parte a piacere, proprio perché essa perde allora la sua globalità e diventa tutta quanta arbitraria.

Etty Hillesum – Diario 1941-1943 (Traduzione di C. Passanti)

Etty – 8 Maggio 1941

Ho scritto che mi sono confrontata col “dolore dell’Umanità”, ma non è del tutto esatto. Mi sento piuttosto come un piccolo campo di battaglia su cui si combattono i problemi, o almeno alcuni problemi del nostro tempo. L’unica cosa che si può fare è offrirsi umilmente come campo di battaglia. Quei problemi devono pur trovare ospitalità da qualche parte, trovare un luogo in cui possano combattere e placarsi, e noi, poveri piccoli uomini, noi dobbiamo aprir loro il nostro spazio interiore, senza sfuggire.
[…]
Ma non ci si può sempre perdere nei grandi problemi, non si può essere sempre come un campo di battaglia; dobbiamo poter recuperare i nostri stretti confini e continuare dentro di essi – scrupolosamente e coscienziosamente – la nostra vita limitata, mentre quei momenti di contatto quasi “impersonale” con tutta l’umanità ci rendono ogni volta più maturi e profondi.

Etty Hillesum – Diario 1941-1943 (Traduzione di C. Passanti)

Etty – 1 Luglio 1942

Quando dico: in un modo o nell’altro ho chiuso i conti con la vita, non è per rassegnazione. […] No, è un vivere la vita mille volte minuto per minuto, e anche un lasciare spazio al dolore, spazio che non può essere piccolo, oggi. E fa poi gran differenza se in un secolo è l’Inquisizione a far soffrire gli uomin, o la guerra e i pogrom in un altro? Il dolore ha sempre preteso il suo posto e i suoi diritti, in una forma o nell’altra. Quel che conta è il modo con cui lo si sopporta, e se si è in grado di integrarlo nella propria vita e , insieme, di accettare ugualmente la vita. […]
Si può essere stanchi come cani dopo aver fatto una lunga camminata o una lunga coda, ma anche questo fa parte della vita, e dentro di te c’è qualcosa che non ti abbandonerà mai più.

Etty Hillesum – Diario 1941-1943 (Traduzione di C. Passanti)