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P. A. Florenskij – 28 Luglio & 22 Novembre 1936

[…] credo che il passato non debba essere alieno neanche a te, anche se cerchi di dimenticarlo. Non riesco a capire questo atteggiamento. Se la vita in generale ha senso e valore, dimenticare il passato è ingratitudine e insensatezza, poiché tutto diventa passato, e allora tutta la vita, tirate le somme, deve rivelarsi uno zero. Il ricordo del passato è insieme un dovere e il contenuto della vita, e non è possibile apprezzare il presente e goderne, se esso non è radicato nel passato. Infine la vita, concludendosi a volte con la vecchiaia ritorna all’infanzia: questa è la legge, questa è la forma della vita completa.

[…] Mi ricordo molto chiaramente di quest’episodio, come se fosse accaduto ieri e non più di mezzo secolo fa. Il passato non è passato, esso si conserva eternamente da qualche parte, in qualche modo e continua ad essere reale e ad agire. Avverto questo a ogni passo, i ricordi stanno di fronte ai miei occhi, come dei quadri chiari e distinti. I confini si confondono: dov’è di preciso mio padre, dove sono io, dove siete voi tutti, dov’è il piccolo. I confini della personalità solo nei libri appaiono distinti, ma in realtà tutto è intrecciato in maniera talmente fitta che la distinzione è solo approssimativa, mentre c’è un continuo passaggio da una parte all’altra dell’interno. E anche io ora, sebbene sia lontano da voi, sono con voi, sempre.


[…] …

P. A. Florenskij – 5 Luglio 1936

[…] Io non amo le estensioni sconfinate e senza forma; tendo a ciò che è sommo, non a ciò che è esteso. […] Ricordo spesso la morte di papà. Egli faceva dei sogni (o forse erano visioni) di viaggi, o piuttosto di migrazioni di nomadi negli spazi sconfinati dell’Asia. E il pensiero dell’abbondanza mi terrorizzava. “Normalmente si pensa che l’umanità morirà per la carenza di qualcosa. – diceva – Per me invece è chiaro che morirà per l’abbondanza”.
Anche a me il molto ha sempre fatto paura, fin dall’infanzia, perché ti sembra che irrompa il caos senza forma che tu non sei in grado di governare e che non puoi far tuo. Dove non c’è una compostezza, non ci può essere neanche comprensione, ma la compostezza comporta un limite. […] Se non ci sono limiti, non è possibile neanche la serenità. La capacità di limitare se stessi è il pegno della maestria (Goethe). Per tutta la vita ho lottato in me stesso con l’illimitatezza e, a quanto pare, senza successo, in ciò sta la mia debolezza.

Pavel a. florenskij – lettere dal gulag 1933-1937 (Traduzione di g. guaita & l. charitonov)


[…] I do not love boundless space and without shape; I aim at what is highest, not at what is wide. […] I often remember my father death. He had dreams (or maybe they were visions) of travels, or rather migrations of nomads towards Asia boundless spaces. And the thought of abundance scared me. “We usually think humanity will die do to the lack of something. – he told – For me, instead, it is clear it will die due to wealth”.
The “much” always scared me too, since my childhood, because you have the impression the shapeless chaos will take over. The chaos that you can no control and you cannot make yours. Where there is no composition, there can no be even understanding, but composition need a limit. If there is no limits, there is no peace. The ability of limit ourselves is the pledge of mastery (Goethe). For my whole life, I have struggled in myself against limitlessness, and apparently without any success – therein lies my weakness.